l-inc

Uno spazio nella società

Nella foto ci sono Giovanni Merlo, Gianfranca Duca e Ciro Tarantino seduti a una scrivania

A cura di Federica Romano, gruppo Attivazione di Comunità del progetto L-inc

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Il 17 aprile 2018

c’è stato un convegno
che si intitolava “Rischi di segregazione contro opportunità di inclusione”.

In questo convegno
diverse persone hanno parlato
del diritto
delle persone con disabilità
di stare all’interno della società
in cui vivono.

I servizi
per le persone con disabilità
devono essere capaci

di aprire nuove opportunità di collaborazione
all’interno della società.

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Segregazione e inclusione, due parole separate da quel limite che con coraggio e forza bisogna superare. Se guardiamo indietro non vogliamo certo ignorare il lungo cammino fatto per l’affermazione dei diritti delle persone con disabilità, ma non per questo possiamo ritenere conclusa questa sfida.

Il tema della segregazione come quello dell'inclusione sono questioni da non dare per scontato quando si parla di servizi sociosanitari: non è scontato che i servizi socio-sanitari lavorino per l'inclusione e non è scontato che si tenga conto del rischio di segregazione.

Quando e dove allora questo rischio può diventare un pericolo reale? Questo il punto di partenza del progetto di ricerca della Fish (Federazione Italiana Superamento  Handicap),

“Superare le resistenze, partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri delle persone con disabilità”,  che trasversalmente ha cercato di definire in quali casi i servizi residenziali per persone con disabilità diventano luogo di segregazione. Ogni servizio o struttura esistente è un contesto in cui operatori, familiari e persone con disabilità convivono, uniti da quel filo invisibile che li accompagna nel percorso di vita.

Ma se quel filo diventasse troppo stretto? Non pensiamo solo a quei casi di maltrattamento o di violenza, che sicuramente generano scalpore e sdegno, ma di quella meno visibile condizione di isolamento e di separazione dalla società in cui le persone con disabilità non hanno scelto di vivere, condizione che ha bisogno di essere riconosciuta, trasformata, o meglio, eliminata.

La legge Basaglia ha portato alla chiusura dei manicomi, ma abbiamo modo di pensare che invece una più silente “logica manicomiale” sia ancora presente e resistente al cambiamento. E allora prima di parlare di buone pratiche e di inclusione, bisogna avere a mente, in modo chiaro e netto, il loro “contromodello”, e partire da lì per evitarlo e distanziarsene.

D’altra parte non c’è la pretesa di fornire modelli perfetti o soluzioni ad hoc ma un approccio congiunto e sinergico a più livelli, quello culturale, scientifico e giuridico, che tenga conto della volontà delle persone con disabilità. In questa direzione si colloca la Norma UNI 11010/2016 che definisce chiaramente nuovi requisiti di qualità e di accreditamento dei servizi per le persone con disabilità, affinché si consolidi un paradigma e un' organizzazione capace di promuovere progetti di vita indipendente. Alla parola “istituzionalizzazione” preferiamo sostituirne altre.

Perché esistono alternative, prospettive e la libertà di scegliere dove e con chi vivere, come prescrive l’art. 19 della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità. E allora operatori sociali, amministrazioni comunali e le politiche sociali sono chiamati sì a rispettare un mandato e ampliare possibilità, ma a stare attenti a non rispondere a richieste di segregazione, perché il moltiplicarsi di servizi e il garantire nuovi accessi non è l’obiettivo che intendiamo perseguire. Questo processo non sarà immune da legittime resistenze, perplessità e paure ma come ogni cambiamento ha bisogno di essere abbracciato nel tempo e tradotto in nuovi valori comunitari.

Da dove partire?

Siamo tutti chiamati a fare una scelta e a prendere una posizione.

Perché se il nostro obiettivo è quello di migliorare la qualità di vita delle persone con disabilità, abbiamo modo di pensare che la conquista più grande per una persona non è necessariamente un luogo protetto, ma uno spazio nella società.

“L’impossibile può diventare possibile”.

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